Università delle Donne di Milano
, Incontro del 20 maggio 2007

Riflessioni sulle forme della politica II


di Maria Grazia Campari



 


La scommessa che oggi si propone alle donne che nutrono interesse per una democrazia del futuro, richiede qualche approfondimento, per evitare enunciazioni da libro dei sogni. Occorre prendere le mosse da un’osservazione per molte niente affatto scontata. L’assenza femminile dalla polis crea una debolezza politica e sociale. La cittadinanza giuridica è data, ma la carenza di cittadinanza politica mette continuamente a repentaglio autodeterminazione e persino diritti della personalità.
Esempi chiarissimi possono trovarsi nella legge sulla procreazione medicalmente assistita ove la personalità viene attribuita al concepito, in aperta antitesi con la madre. Oppure nell’obbligo di sepoltura del prodotto abortivo recentemente introdotto in Lombardia da disposizioni regolamentari regionali, approvate da tutti i consiglieri, anche quelli di opposizione: un altro mattone posto alla cancellazione di soggettività della donna che passa attraverso la personalizzazione del feto, il quale vanta ora il diritto alle esequie, non è chiaro con quale pubblica o privata cerimonia.
Ci si trova nel solco di regole e prescrizioni sulla relazione delle donne con il proprio corpo, che negano la libera disposizione di sé, ma non si trovano tracce di prescrizioni analoghe per i comportamenti maschili.
Queste appaiono spie di inesistenza nelle donne della qualità di cittadine. Non sembra neppure necessario ipotizzare la malvagità di singoli o di apparati: il clero, i tecon o teodem, i forum delle famiglie. Non è questo.
Questo è piuttosto il risultato di una condizione di esclusione cui concorrono pratiche istituzionali, definizioni giuridiche, interessi economici.
Un dato da non sottovalutare è, infatti, il vantaggio maschile.
Non pare opportuno tenere il discorso su un piano di disinteressata superiorità, poiché tale atteggiamento è spesso foriero di miseria materiale e anche simbolica.
Occorre prendere in attenta considerazione il piano materiale. Su tale piano, è palese il guadagno che dalla debolezza politica e sociale femminile consegue agli uomini, anche ai meno dotati: servizi alla persona, cura delle relazioni, eliminazione di concorrenza per posti di potere e di danaro.
Con questo esito evidente: il sistema così strutturato tende incessantemente a ridurre la donna ad una condizione pregiuridica dove è fatalmente dominata dalla legge creata dall’altro, priva della reale possibilità di modificare le regole del vivere associato.
Sembra, allora, necessario partire dalla tradizionale esclusione femminile dal governo della cosa pubblica per incardinare un conflitto per la partecipazione che è l’unico modo di garantire universalità ai diritti per tutti.
Colmare lacune di effettività nella cittadinanza passando dalla cittadinanza giuridica a quella politica, non vuol dire, secondo me, impegnare le donne nel fornire ossigeno ad una democrazia ormai comatosa, ma dare corso a pratica e pensiero differenti, capaci di modificarne radicalmente l’orizzonte.
Divenire parte significativa del soggetto costituente della democrazia significa, in prima istanza, come si è detto, scardinare fortini identitari e familistici, contrastare esclusione e violenza contro le donne, segregate in ruoli tradizionali di erogatrici di servizi. Significa contrastare l’appropriazione del potere decisionale da parte di pochi scelti per cooptazione, che è appropriazione privata della democrazia; significa allargare il corpo politico come condizione per l’ampliamento di relazioni, di scambi discorsivi che modificano la cittadinanza, la rendono plurima, condivisa fra differenti.
Ancora oggi, nel corpo sovrano autonormante (cioè fra i titolari dei diritti di cittadinanza) non tutti sono membri a pieno titolo (S. Benhabib “I diritti degli altri”).
Vi sono alcuni che, pur residenti nel territorio, non godono a pieno titolo dei diritti di appartenenza al corpo politico e al progetto di cittadinanza: le donne e tutti coloro che a causa di un significativo criterio identitario, non rispondono ai requisiti in base ai quali il popolo riconosce se stesso: provengono da altri territori, appartengono ad altre etnie. Anch’essi non partecipano alla elaborazione delle regole che presiedono alla convivenza: sono soggetti eteronormati, estraniati dalla ricerca del bene comune, deresponsabilizzati.
Occorre, allora, individuare misure capaci di favorire l’accesso allargato allo spazio pubblico, dare a ciascun soggetto libertà e responsabilità nel mondo, là dove ognuno diviene visibile e udibile (H. Arendt “Il diritto di avere diritti”)
A questo fine, sono insignificanti le presenze istituzionali di soggetti tradizionalmente esclusi, poi inseriti in organigramma per cooptazione, presenze che, mantenute in dosi omeopatiche, soccombono all’omologazione e al conformismo.
Infatti, la presenza allargata, paritaria di soggetti differenti nei livelli decisionali, costituisce un primo indispensabile passo, che tuttavia non garantisce nulla, se non si accompagna ad un pensiero critico profondo, sorretto da pratiche politiche antagoniste di base.
In ogni caso, più che ad ingressi individuali più o meno numerosi, occorre pensare alla costruzione di un tessuto relazionale e associativo, connotato da desideri e competenze per una politica reticolare partecipata.
Una diversa partecipazione di soggetti differenti ai luoghi decisionali per una diversa pratica della politica.
Come è stato notato (U. Ceccoli “Il territorio degli abitanti” Fondazione Balducci, Badia Fiesolana) la globalizzazione dell’economia che rende il mercato regola suprema, si percepisce chiaramente nel territorio. La città viene trattata come merce, si estende sospinta dalla speculazione edilizia, il territorio è posto al suo servizio, è merce in offerta al capitale.
Si conforma al modello narcisistico: Narciso si rispecchia nella cosa, desidera solo se stesso ma non lo riconosce, è la fine delle relazioni.
Poiché, però, il territorio è anche, in qualche modo, il luogo delle relazioni, la stessa vita collettiva risulta frantumata dagli interventi di vertice, autoritari, non contrattati.
Vige, infatti, un processo decisionale semiprivato, ristretto ad una sorta di triangolo formato da capitalisti investitori, funzionari della burocrazia e amministratori locali
Tutto al contrario, l’uso dei suoli e delle città dovrebbe rispecchiare progetti condivisi, essere frutto di un approccio relazionale ai problemi.
Seguendo questa ipotesi, sullo stimolo di interazioni fra soggetti differenti, le città e il territorio possono essere laboratori di buone pratiche, integrando i soggetti nel tessuto discorsivo e decisionale, consentendo e favorendo interazioni fra quanti intendono darsi carico e responsabilità rispetto ai temi della vita associata.
Esistono già esperienze che possono fornire piste di riflessione e, almeno in parte, di imitazione.
Alcuni esempi
I bilanci partecipati di Porto Alegre (P. Ginsborg “La democrazia che non c’è”), ove assemblee territoriali e tematiche di cittadini stabiliscono le materie di intervento, le priorità di spesa del governo locale e ne controllano l’operato con diritto di critica per la modificazione nel merito.
Le modalità selettive del candidato sindaco nella città di Marousi ad opera del Pasok di Papandreu, conformate al metodo della democrazia discorsiva: attraverso il confronto i cittadini suddivisi in gruppi, hanno individuato, in base a scelte condivise a seguito di conflitti e opportune mediazioni, i temi rilevanti per la gestione della città, poi scelto la persona ritenuta più idonea a perseguirli. Una pratica di primarie aperte alla cittadinanza attiva.
L’esperienza della società che gestisce a Roma il trasporto pubblico (ATAC), che si è recentemente avvalsa della consulenza sul servizio da parte di abbonati  (donne e uomini in numero pari) scelti per sorteggio e inseriti nel Consiglio di amministrazione, mentre presso alcuni Municipi si sono costituiti comitati di utenti che analizzano il servizio, fanno critiche e proposte.
Il confronto apertosi nella città di Firenze per la elaborazione condivisa fra persone di diverso orientamento politico di una legge regionale sulla partecipazione dei cittadini alle scelte politiche (P. Ginsborg “Carta” n. 14).
Probabilmente, l’esperienza più articolata di partecipazione ha luogo nella Regione Toscana ove si possono menzionare (senza pretesa di completezza) vari comitati per la difesa del territorio, concepito attivamente come bene comune degli abitanti.
Esistono i Comitati contro gli inceneritori della piana di Firenze-Prato-Pistoia, il Comitato contro il rigassificatore offshore di Livorno-Pisa, il Comitato contro il sottoattraversamento dell’alta velocità a Firenze, il Comitato contro la tranvia a Firenze, il Comitato per il riutilizzo pubblico dell’area dell’ex Panificio militare di Firenze. Fra gli associati a quest’ultimo Comitato sta prendendo corpo una proposta interessante: promuovere una sottoscrizione pubblica per ricomperare e destinare ad uso pubblico un’area demaniale venduta a speculatori che ne hanno progettato l’utilizzo per edilizia privata intensiva, con il tacito consenso dell’amministrazione comunale. L’area riacquisita potrebbe essere restituita alla gestione del Comune, che si era rifiutato di comprarla per mancanza di fondi, ma con la garanzia di utilizzo pubblico (per uffici e ONG) degli edifici preesistenti restaurati e con la conservazione degli spazi destinati a verde pubblico. Un caso di partecipazione dei cittadini al governo del loro territorio
Recentemente si è costituito il Coordinamento regionale toscano dei Comitati per la difesa del territorio, organizzazione a rete, intesa a collegare esperienze e conoscenze anche scientifiche di vari soggetti, appunto per cercare soluzioni alternative a quelle della speculazione edilizia, allo scopo di salvare i beni comuni ambientali.
Il Coordinamento è collegato al FAI, al WWF e, più di recente, si è esteso ad un gruppo di ambientalisti costituitosi in relazione con l’UNESCO, per la conservazione del Parco delle Cinque Terre, contro la cementificazione di un largo tratto di costa in prossimità di Corniglia, sponsorizzata dalla Presidenza del Parco.
Tutte queste esperienze mirano a valorizzare una partecipazione che consenta la conoscenza , l’elaborazione di proposte e il controllo da parte di una cittadinanza che diventa consapevole delle problematiche da affrontare e inizia a proporre la propria agenda di temi rilevanti, verificando l’azione dei rappresentanti.
La qualità della partecipazione può essere migliorata anche attraverso il bilancio di genere, una rendicontazione che serve a rilevare le azioni dell’amministrazione pubblica locale in tema di miglioramento della condizione femminile e produzione di parità fra i sessi considerata come interesse pubblico rilevante. Un sistema che rende evidente l’impatto della distribuzione delle risorse sulle condizioni di vita e sulla posizione di relativo svantaggio delle donne.
Si tratta, in ogni caso, di verificare che gli eletti prendano la decisione finale conservando rapporti e assumendo responsabilità rispetto ai cittadini interessati alle varie questioni.
Molte donne sono presenti e spesso animano gli organismi associativi di base, vi mettono in gioco esperienze e conoscenze preziose.
In particolare, molte partecipanti si sono dimostrate in grado di esprimere liberamente bisogni e aspettative che chiedevano di vedere soddisfatte e riconosciute da altri. Hanno trovato forme di autorganizzazione, curando che tutti potessero avere voce e ascolto allo stesso modo, forse perché storicamente meno fissate nella pretesa di imporre ad altri omogeneità rispetto al proprio disegno di società
La partecipazione femminile può realizzarsi in questi organismi con maggiore facilità, compiendo passi significativi verso la riarticolazione degli interessi che si esprimono nella sfera pubblica, per la verifica dei valori che si vogliono introdurre nella società.

Una modalità interessante è quella che riesce ad intrecciare una pratica politica in queste associazioni con la cura di preservare luoghi del pensare fra donne secondo un metodo che, nell’esperienza femminista, ha prodotto pensiero originale, elemento quanto mai prezioso per ridare qualità alla civiltà in cui viviamo.

28-06-07